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News / Giurisprudenza / Rifiuti

08-11-2021

Cassazione penale, abbandono e deposito incontrollato di rifiuti

La Corte di Cassazione, con la Sentenza n. 37603 del 18 ottobre 2021, si è pronunciata sulla qualificazione e la responsabilità delle condotte di abbandono e deposito incontrollato di rifiuti, quale reato proprio, in particolare sui soggetti responsabili della gestione dei rifiuti per conto della società.

La Corte, decidendo sul ricorso, pur dichiarando prescritto il reato, si è soffermata sulla corretta interpretazione della fattispecie del reato di abbandono e deposito incontrollato di rifiuti, ex art. 256, c. 2, del Dlgs 152/2006, relativi a fatti riconducibili «ai titolari di imprese ed ai responsabili di enti», riguardante rifiuti speciali non pericolosi provenienti da lavori di manutenzione stradale, in violazione dell’articolo 192 del testo Unico Ambientale.

A differenza dell’ipotesi prevista dal primo comma, ben può dirsi che l’art. 256, comma 2, d.lgs. 152 del 2006 integri gli estremi di un reato proprio, sicché, ferma la possibilità del concorso dell’extraneus, è comunque necessario accertare che la condotta sia riconducibile anche alla responsabilità del titolare dell’impresa, ovvero che quest’ultimo abbia delegato la gestione dei rifiuti di cui si tratta ad altro soggetto, il quale ne abbia pertanto assunto la correlativa responsabilità, ferma restando, secondo le regole generali, la possibilità che il delegante non ne sia esonerato.

Ed invero, è pacifico che nell’ambito delle imprese o degli enti, la gestione dei rifiuti sia delegabile, ma gli stringenti requisiti che la giurisprudenza richiede per la validità della delega rilevano ai fini di escludere la penale responsabilità del delegante nel caso di reati posti in essere dal delegato, mentre per la soggettiva imputazione di tale attività gestoria all’impresa ai fini della sussistenza del reato in esame anche in capo al delegato è sufficiente che a quest’ultimo fossero stati di fatto conferiti i poteri connessi alla gestione dei rifiuti.

Nel caso di specie, il ricorrente era stato imputato in concorso con il legale rappresentante della società, che in primo grado era stato assolto per non aver commesso il fatto. A fronte dell'esclusione della riconducibilità della condotta al titolare dell'impresa, la sentenza impugnata ha affermato che il ricorrente non ha agito nella veste di privato cittadino «bensì ha agito quale collaboratore della società, assumendo quindi la responsabilità propria del titolare o comunque del soggetto responsabile della gestione dei rifiuti per conto della società stessa.

A tal riguardo, diversamente il ricorrente lamentava la parificazione della figura dell'imputato a quella del legale rappresentante della società per il quale il medesimo lavorava. L'attività da lui posta in essere era in contrasto con le direttive ricevute e, pertanto, la condotta non poteva essere ascritta alla società, ma doveva considerarsi come occasionalmente posta in essere da un privato, con conseguente necessità di ravvisare l'illecito amministrativo di cui all'art. 255 d.lgs. 152/2006.


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