Il Tar Lombardia, con la sentenza n. 1792/2023, si è pronunciato sui criteri specifici in presenza dei quali il conglomerato bituminoso cessa di essere qualificato come rifiuto.
Il d.m. n. 69 del 2018 stabilisce i criteri specifici in presenza dei quali il conglomerato bituminoso cessa di essere qualificato come rifiuto ai sensi e per gli effetti dell’articolo 184-ter del d.lgs. n. 152 del 2006.
L’art. 4, primo comma, dello stesso d.m. attribuisce al produttore l’onere di attestare, mediante dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà, la conformità del materiale prodotto alle caratteristiche tecniche sopra indicate. Il successivo art. 6 contiene poi una norma transitoria con la quale si è stabilito che lo stesso produttore avrebbe dovuto provvedere, entro il termine di centoventi giorni dall’entrata in vigore del decreto, a richiedere l’adeguamento dell’autorizzazione per conformarla ai nuovi criteri. Nelle more dell’aggiornamento, il materiale prodotto avrebbe comunque potuto essere commercializzato se in possesso delle caratteristiche previste. Il possesso di tali caratteristiche avrebbe dovuto essere attestato sempre dal produttore con sua dichiarazione.
Come si vede, queste norme sono chiare nel prevedere, sia per il periodo a regime che per il periodo transitorio, che debba essere il produttore del materiale a dover attestare, mediante propria dichiarazione, la presenza delle caratteristiche indicate nel d.m. n. 69 del 2018.
Nessun obbligo di questo tipo viene invece posto in capo all’amministrazione la quale deve, quindi, limitarsi a ricevere le suddette dichiarazioni ed effettuare gli eventuali successivi controlli.
Nel caso di specie, l’Amministrazione ha vietato la commercializzazione del conglomerato bituminoso come MPS in quanto la ricorrente non avrebbe compiuto le formalità previste dal d.m. n. 69 del 2018, mentre la ricorrente sostiene che tale decisione sarebbe illegittima in quanto ciò che unicamente rileverebbe, ai fini della possibilità di commercializzazione del suddetto materiale, è che esso abbia caratteristiche conformi ai nuovi criteri determinati dal citato d.m. n. 69 del 2018, conformità che l’Amministrazione ben avrebbe potuto accertare d’ufficio.
Diversamente, secondo il Tar – non contestato che la ricorrente non ha reso alcuna delle suddette dichiarazioni – manca l’attestazione che il materiale stoccato presso il suo impianto possegga le caratteristiche necessarie per poter essere considerato alla stregua di MPS e di conseguenza è da ritenersi corretta la decisione dell’Amministrazione di vietarne la commercializzazione.