Il Tar Campania, con la sentenza n. 5549/2023, si è pronunciato nel caso di specie in materia di Autorizzazione Unica ambientale (Aua) e Certificato di prevenzione incendi.
Il certificato prevenzione incendi costituisce l’atto finale del procedimento amministrativo di prevenzione, rilasciato dal competente Comando provinciale dei VV.FF., previo esame della sussistenza dei requisiti di sicurezza antincendio nei locali, per le attività individuate nelle specifiche categorie e l’Amministrazione comunale è investita del potere di sorveglianza sulla regolarità della attività commerciali e produttive svolte sul territorio comunale debitamente autorizzate, nel rispetto delle norme di sicurezza, tra cui quelle in materia di prevenzioni incendi.
Pertanto la predetta certificazione rileva non come dato meramente formale, ma produce effetti giuridici e assume rilevanza per la sicurezza del locale nel quale si svolge l’attività; il Comune, dunque, sebbene non possa accertare i presupposti per il mancato rilascio del certificato di prevenzione incendi, è tenuto comunque ad accertarne quantomeno il possesso, in mancanza del quale deve essere riconosciuta alla stessa Amministrazione la possibilità di intervenire sull’efficacia del predetto provvedimento autorizzatorio al venir meno di uno dei presupposti del rilascio, stante la priorità dell’interesse di pubblica sicurezza sotteso alla sua perdurante vigenza in costanza dell’esercizio dell’attività e la necessità del suo rinnovo prima della scadenza e non successivamente.
Nel caso di specie, una società esercente l’attività di recupero e messa in riserva di rifiuti non pericolosi chiedeva la modifica della precedente autorizzazione unica ambientale, al fine di ampliare la superficie operativa dell’impianto e l’oggetto della sua attività in modo da includere anche nuove tipologie di rifiuti, ricevendo il positivo risconto da parte anche del Comune.
Tuttavia, in seguito il Comune comunicava all’azienda l’avvio del procedimento di “revoca” del titolo autorizzatorio, in quanto aveva riscontrato come la nuova autorizzazione rilasciata avrebbe prodotto tra l’altro «un incremento notevole di materiale infiammabile senza alcuna indicazione dei quantitativi di ogni tipo di rifiuto» e senza che fosse stata previamente acquisita l’idonea certificazione di un professionista abilitato in ordine alla prevenzione degli incendi.
Inoltre, in seguito alle osservazioni presentate dalla società, il Comune con ordinanza confermava sia la sospensione di tutte le attività svolte, sia l’ordine di rimozione dei rifiuti stoccati.
Su ricorso della società, il Tar accoglieva – limitativamente alla suddetta ordinanza – il ricorso poiché l’impugnata ordinanza si pone in contrasto con i principi di adeguatezza, ragionevolezza e proporzionalità, in quanto essa ha vietato tout court lo svolgimento dell’attività di impresa della ricorrente senza tuttavia aver previamente valutato se nell’impianto posto nel territorio comunale fosse effettivamente iniziato il trattamento dei rifiuti oggetto della revocata AUA, nonché se ulteriori e più limitate misure interdittive fossero in grado di garantire ugualmente l’incolumità pubblica senza essere in assoluto preclusive delle prerogative imprenditoriali della ricorrente.