News / Giurisprudenza / Rifiuti
21-11-2019
Cassazione penale, classificazione dei rifiuti con codici "a
specchio" dopo la pronuncia della Corte di Giustizia
La Corte di Cassazione, con la Sentenza n. 42788 del 21 novembre
2019, si è pronunciata sulle modalità di classificazione
dei rifiuti con codici «a specchio» dopo la pronuncia pregiudiziale
della Corte di Giustizia UE del 29 marzo 2019.
La Corte nella sentenza ripropone, per un migliore inquadramento della
questione, una preliminare, sommaria descrizione della disciplina di settore
già illustrata nell’ordinanza del 21 luglio 2017, con la quale è stata
sollevata la questione pregiudiziale innanzi alla Corte di giustizia, dando
conto delle ulteriori modifiche normative nel frattempo intervenute.
Si riporta nello specifico il p.to 9 dei "Considerato in
diritto" della Corte.
"Va certamente esclusa la “presunzione di pericolosità” nei termini in
cui vi si riferisce il Pubblico Ministero ricorrente ed il conseguente
obbligo per il detentore del rifiuto di dimostrarne, attraverso analisi, la
non pericolosità, dovendo in alternativa classificare comunque il rifiuto
come pericoloso ostandovi, in maniera evidente, quanto indicato dai giudici
di Lussemburgo nel punto 45 della sentenza.
Non può inoltre condividersi, sempre alla luce di quanto evidenziato
dalla Corte di giustizia, il rilievo esplicitamente attribuito dal
Tribunale al mancato espletamento, da parte degli inquirenti, di
attività di analisi volta a dimostrare la pericolosità del rifiuto,
accollando ad essi un dovere che la pronuncia pregiudiziale esclude,
attribuendo al detentore del rifiuto (e non dunque, soltanto al
produttore, che pure tale qualifica riveste), quando la composizione del
rifiuto potenzialmente pericoloso non sia immediatamente nota, l’onere
di raccogliere le informazioni idonee a consentirgli di acquisire una
conoscenza sufficiente di detta composizione e, in tal modo, di
attribuire a tale rifiuto il codice appropriato (punto 40).
Contrastano con le affermazioni del Tribunale anche le ulteriori
precisazioni della Corte europea, laddove si esclude ogni margine di
discrezionalità in capo al detentore del rifiuto circa la natura
dell’accertamento, in quanto, sebbene non obbligato a verificare
l’assenza di qualsiasi sostanza pericolosa egli deve comunque ricercare
quelle che possano ragionevolmente trovarvisi.
Va peraltro osservato che la sentenza della Corte di giustizia, tanto
nella risposta ai primi tre quesiti, quanto nella motivazione, porta ad
escludere radicalmente la possibilità di arbitrarie scelte da parte del
detentore del rifiuto circa le modalità di qualificazione del rifiuto ed
accertamento della pericolosità.
In altre parole, ritiene il Collegio che il necessario riferimento
della Corte europea, in precedenza richiamato, all’impossibilità di
imporre al detentore del rifiuto irragionevoli obblighi sia dal punto di
vista tecnico che economico, non può assolutamente, a fronte di quanto
più diffusamente stabilito dai medesimi giudici, essere utilizzato come
pretesto per aggirare le precise indicazioni circa le modalità di
qualificazione del rifiuto, essendo chiaro che se la composizione del
rifiuto non è immediatamente nota (circostanza che rende, evidentemente,
non necessaria l’analisi) il detentore deve raccogliere informazioni,
tali da consentirgli una “sufficiente” conoscenza di tale composizione e
l’attribuzione al rifiuto del codice appropriato.
La raccolta delle informazioni, inoltre, va necessariamente
effettuata secondo la precisa metodologia specificata, che non prevede
esclusivamente il campionamento e l’analisi chimica, le quali, come
espressamente indicato (punto 44), devono peraltro offrire garanzie di
efficacia e rappresentatività.
Ciò porta anche a ritenere non condivisibile, ad avviso del Collegio,
l’affermazione del Tribunale secondo cui “l’analisi del rifiuti ‘a
specchio’, al fine di determinarne la pericolosità, deve riguardare solo
le sostanze che, in base al processo produttivo, è possibile possano
conferire al rifiuto stesso caratteristiche di pericolo” in quanto
riduttiva rispetto alla metodologia individuata nella pronuncia della
Corte di giustizia.
Quanto al principio di precauzione, la Corte di giustizia ne ha
delimitato l’ambito di applicazione nei termini in precedenza ricordati".