News / Giurisprudenza / Corte di Giustizia
	16-03-2015
	Corte di Giustizia, compatibilità normativa italiana bonifiche in caso 
	di proprietario incolpevole
	La Corte di Giustizia, con sentenza 4 marzo 2015, causa C-534/13, 
	ha affermato che la normativa italiana, che non impone 
	misure di prevenzione e di riparazione a carico dei proprietari non 
	responsabili dell’inquinamento dei loro terreni, è compatibile con 
	il diritto dell’Unione.
	Nel caso di specie, la sezione del Consiglio di Stato adita aveva 
	rimesso all’Adunanza Plenaria la questione se, in base al principio 
	«chi inquina paga», l’amministrazione nazionale possa imporre al 
	proprietario di un’area inquinata, che non sia anche l’autore 
	dell’inquinamento, l’obbligo di porre in essere le misure di messa in 
	sicurezza di emergenza di cui all’articolo 240, comma 1, lettera m), di 
	detto codice, ovvero se, in un’ipotesi del genere, tale proprietario sia 
	tenuto solo agli oneri reali espressamente previsti all’articolo 253 del 
	medesimo codice. 
	L’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, nella sua decisione di 
	rinvio, rilevava che la giurisprudenza amministrativa italiana non è 
	concorde sull’interpretazione delle disposizioni della parte IV del 
	codice dell’ambiente e, più in generale, su quelle relative agli obblighi 
	del proprietario di un sito contaminato. 
	Infatti, mentre una parte della giurisprudenza, 
	basandosi tra l’altro, sui principi di precauzione, dell’azione preventiva e 
	del «chi inquina paga», propri del diritto dell’Unione, ritiene che il 
	proprietario sia tenuto ad adottare le misure di messa in sicurezza di 
	emergenza e di bonifica anche qualora non sia l’autore della contaminazione,
	un’altra parte dei giudici italiani esclude, al contrario, 
	qualsiasi responsabilità del proprietario non responsabile della 
	contaminazione e nega, di conseguenza, che l’amministrazione possa esigere 
	da tale proprietario misure del genere. L’Adunanza Plenaria del Consiglio di 
	Stato condivide quest’ultima opinione, dominante nella giurisprudenza 
	amministrativa italiana.
	Per giungere alla conclusione di conformità della 
	normativa italiana alla direttiva, la Corte ricorda la costante 
	giurisprudenza in base alla quale il principio «chi inquina paga» (articolo 
	191, paragrafo 2, TFUE), si rivolge all’azione dell’Unione, cosicché tale 
	disposizione non può essere invocata in quanto tale da privati o da autorità 
	amministrative.
	La Corte si dedica, quindi, all’analisi dei presupposti della 
	responsabilità ambientale, quali previsti nella direttiva, 
	soffermandosi, in particolare, sulla nozione di «operatore» e sulla 
	necessità della sussistenza di un nesso causale tra l’attività 
	dell’operatore e il danno ambientale. A tal proposito, la Corte precisa che 
	le persone diverse dagli operatori non rientrano nell’ambito di applicazione 
	della direttiva e che, quando non può essere accertato alcun nesso causale 
	tra il danno ambientale e l’attività dell’operatore, tale situazione non 
	rientra nel diritto dell’Unione, bensì nel diritto nazionale.
	In conclusione, la Corte afferma che "La direttiva 2004/35/CE del 
	Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 aprile 2004, sulla responsabilità 
	ambientale in materia di prevenzione e riparazione del danno ambientale, 
	deve essere interpretata nel senso che non osta a una normativa nazionale 
	come quella di cui trattasi nel procedimento principale, la quale, 
	nell’ipotesi in cui sia impossibile individuare il responsabile della 
	contaminazione di un sito o ottenere da quest’ultimo le misure di 
	riparazione, non consente all’autorità competente di imporre l’esecuzione 
	delle misure di prevenzione e di riparazione al proprietario di tale sito, 
	non responsabile della contaminazione, il quale è tenuto soltanto al 
	rimborso delle spese relative agli interventi effettuati dall’autorità 
	competente nel limite del valore di mercato del sito, determinato dopo 
	l’esecuzione di tali interventi".