Il Consiglio di Stato, con la sentenza n. 1064/2025, si è pronunciato sul trattamento dei fanghi da depurazione, in particolare sulla possibilità di essere conferiti in altri impianti idonei a trattarli.
Fatto
Nel caso di specie, il punto controverso è se i fanghi il cui processo di trattamento non sia ancora completato presso altri impianti di trattamento di acque reflue urbane possano rientrare tra “i materiali” che il d.lgs. 152/2006, art. 110, comma 3, lett. c), considera idonei ad essere conferiti in altri impianti idonei a trattarli.
Secondo l’appellante tale lettura non sarebbe possibile perché i fanghi sono da considerare a tutti gli effetti rifiuti e non potrebbe rientrare nella deroga legislativa di cui all’art. 110, comma 3, lett. c) citato.
Deroga
L’art. 110 del d.lgs. n. 152 del 2006, al comma 3, nel derogare alla regola generale contenuta nel comma 1, secondo cui “è vietato l’utilizzo degli impianti di trattamento di acque reflue urbane per lo smaltimento di rifiuti”, prevede, alla lett. c), che il gestore del servizio idrico integrato, previa comunicazione all’autorità competente ai sensi dell’articolo 124, è comunque autorizzato ad accettare in impianti con caratteristiche e capacità depurative adeguate, che rispettino i valori limite di cui all’articolo 101, commi 1 e 2, purché provenienti dal proprio Ambito territoriale ottimale oppure da altro Ambito territoriale ottimale sprovvisto di impianti adeguati, i “materiali derivanti dalla manutenzione ordinaria della rete fognaria nonché quelli derivanti da altri impianti di trattamento delle acque reflue urbane, nei quali l’ulteriore trattamento dei medesimi non risulti realizzabile tecnicamente e/o economicamente”.
La deroga legislativa è, quindi, consentita purché “i materiali” derivino da altri impianti di trattamento delle acque reflue urbane nei quali il completamento del trattamento medesimo non è tecnicamente o economicamente realizzabile.
Va, peraltro, precisato che la deroga normativa si estende anche ai rifiuti, in quanto riguarda anche i:
- “a) rifiuti costituiti da acque reflue che rispettino i valori limite stabiliti per lo scarico in fognatura”
- “b) rifiuti costituiti dal materiale proveniente dalla manutenzione ordinaria di sistemi di trattamento di acque reflue domestiche previsti ai sensi dell’articolo 100, comma 3”.
Fanghi
Rilevante nella ricostruzione del quadro normativo, si precisa in sentenza, è l’art. 127 del d.lgs. n.152 del 2006 (Fanghi derivanti dal trattamento delle acque reflue), secondo cui “i fanghi derivanti dal trattamento delle acque reflue sono sottoposti alla disciplina dei rifiuti, ove applicabile e comunque solo alla fine del complessivo processo di trattamento effettuato nell’impianto di depurazione”.
L’espressione “comunque solo” è stata inserita dall’articolo 9, comma 1, del d.l. del 14 aprile 2023, n. 39, convertito con modificazioni dalla legge 13 giugno 2023, n. 68, e rafforza sostanzialmente quanto poteva già desumersi prima del citato intervento normativo ovvero che la qualifica di rifiuto può essere attribuita ai fanghi solo al termine del complessivo processo di trattamento.
La “precisazione” normativa sgombra definitivamente il campo dal dubbio sull’interpretazione corretta della norma. In ogni caso la ratio della deroga è consentire il trattamento dei materiali in altro impianto idoneo a riceverli qualora negli impianti di provenienza non sia possibile completare il processo produttivo.
La norma usa evidentemente l’espressione materiali e non rifiuti proprio perché se il materiale non ha completato il suo processo di trattamento e viene trasferito in altro impianto non può essere considerato ancora rifiuto in senso stretto, ai sensi dell’art. 127 del d.lgs. n. 152 del 2006.