Cassazione penale, Terre e rocce da scavo e nozione di sito

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 26805/2023, si è pronunciata sulla nozione di sito in relazione alle terre e rocce da scavo, ai fini dell’esclusione dall’ambito di applicazione della disciplina dei rifiuti, ex art. 185, comma 1, lett. c), dlgs 152 del 2006.

La nozione di “sito” come “area o porzione di territorio, geograficamente definita” e “determinata”, oppure “perimetrata”, è tipica del diritto penale dell’ambiente (v., nel primo senso, con riguardo cioè all’ulteriore specificazione della “determinazione”, l’art. 240, lett. a, d.lgs. 152/2006; nel secondo senso, con particolare riguardo alla “perimetrazione”, l’art. 2, lett. i, d.P.R. 120 del 2017).

Essa, dunque, non si presta a ricomprendere distinte ed autonome porzioni di territorio che, benché ricadenti nel medesimo comune e non distanti tra loro, non siano contigue e abbiano addirittura diversa destinazione: ci si trova in tal caso di fronte a due distinte aree e non ad una sola area definita e determinata, in modo tale da poter essere circoscritta in un unico perimetro.

Né può indurre in contrario avviso il fatto che i lavori nei due diversi siti siano in qualche modo sin dall’origine “collegati”: la certezza del riutilizzo del materiale è bensì requisito essenziale della disciplina derogatoria in parola – come, peraltro, di quella prevista dal d.P.R. 120/2017 – ma essa non è sufficiente, richiedendosi anche, appunto, che il materiale non fuoriesca dal medesimo sito inteso come unica area suscettibile di perimetrazione.

A tal riguardo, la citata disposizione esclude dall’ambito di applicazione della disciplina sulla gestione dei rifiuti prevista dalla Parte quarta del d.lgs. 152 del 2006 «il suolo non contaminato e altro materiale allo stato naturale escavato nel corso di attività di costruzione, ove sia certo che esso verrà riutilizzato a fini di costruzione allo stato naturale e nello stesso sito in cui è stato escavato».

Pertanto, indefettibile presupposto dell’applicabilità di tale previsione è quello relativo al fatto che le terre e rocce da scavo debbano riutilizzarsi a fini costruttivi – e poi effettivamente lo siano – nel medesimo sito nel quale sono state estratte.

Nel caso di specie, diversamente le terre e rocce da scavo estratte nel cantiere ove la società stava svolgendo opere furono trasportate con l’utilizzo di automezzi, e quindi utilizzate, in un diverso sito comunale, ubicato a circa 500 m. di distanza, ove la società si era impegnata a realizzare a proprie spese lavori di livellamento di terreno con riporto di materiale vegetale in un’area destinata a boschi ed orti urbani.

La Corte quindi osserva, in particolare, che «nel caso in esame deve escludersi che lo spostamento della terra e della roccia da scavo sia consistita in una mera movimentazione di terreno all’interno della “medesima area”: si è trattato, al contrario, di un vero e proprio trasporto di materiale da una zona ad un’altra (se pure poste a distanza di solo 500 mt) nelle quali erano in corso opere diverse».


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