La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 13560/2025, si è pronunciata sulla qualificazione dei materiali provenienti da demolizione.
Ai fini della configurabilità del reato previsto dall’art. 256, commi 1-3, del d.lgs., 3 aprile 2006, n. 152, i materiali provenienti da demolizione debbono essere qualificati dal giudice come rifiuti, in quanto oggettivamente destinati all’abbandono, salvo che l’interessato non fornisca la prova della sussistenza dei presupposti previsti dalla legge per l’applicazione di un regime giuridico più favorevole, quale quello relativo al “deposito temporaneo” o al “sottoprodotto”.
Più in generale, in tema di gestione dei rifiuti, l’onere della prova relativa alle condizioni di liceità dell’attività incombe su chi ne invoca la sussistenza, venendo in rilevo l’applicazione di norme che derogano al normale regime autorizzatorio previsto in materia.
Applicando tali principi, i giudici del merito, nell’esame del compendio probatorio, hanno rilevato la presenza, all’interno dell’azienda, di cumuli composti da rifiuti di vario genere, frutto di un’attività di demolizione, accatastati alla rinfusa sul terreno; tali cumuli inoltre risultavano parzialmente bruciati.
Da ciò si è correttamente ricavato che i rifiuti si trovavano in pianta stabile in quei luoghi, tanto che era stata posta in essere un’attività di incenerimento per smaltirli.
Di conseguenza, gli imputati erano stati condannati, per il reato di cui all’art. 256, comma 2, del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, per avere, in concorso tra loro, il primo nella qualità di legale rappresentante e la seconda, in qualità di socio institore della medesima impresa, smaltito illecitamente un ingente quantitativo dei rifiuti speciali, parzialmente sottoposti a combustione, abbandonati sul nudo terreno all’interno del cantiere della ditta.