La Corte di Cassazione, con la Sentenza 11603/2022, si è pronunciata sulla nozione di rifiuto affermando che acquisita la qualità di rifiuto, la stessa non viene meno in ragione di un accordo di cessione a terzi.
Ai sensi dell’art. 183, comma 1, lett. a), d.lgs. n. 152 del 2006, per “rifiuto” si intende “qualsiasi sostanza od oggetto di cui il detentore si disfi o abbia l’intenzione o abbia l’obbligo di disfarsi”.
A tal proposito, la Corte, in precedenza, ha chiarito che acquisita la qualità di “rifiuto” di sostanze e materiali in base ad elementi positivi (il fatto che si tratti di beni residuo di produzione di cui il detentore vuole disfarsi) e negativi (che non abbiano i requisiti del sottoprodotto), la stessa non viene meno in ragione di un accordo di cessione a terzi, nè del valore economico dei beni stessi riconosciuto nel medesimo accordo, occorrendo fare riferimento alla condotta e volontà del cedente di disfarsi dei beni, e non all’utilità che potrebbe ritrarne il cessionario.
Nel caso di specie, la natura di “rifiuti” è stata correttamente e in maniera convergente desunta dai giudici di merito dalla quantità, dalle condizioni e delle modalità di custodia dei beni, ossia veicoli semidistrutti e completamente inutilizzati, pezzi di veicoli del tutto inservibili, tra cui oggetti da qualificarsi come pericolosi – quali batterie, parti elettriche, pneumatici, contenitori di oli – il tutto in stato di abbandono, senza alcuna protezione ed esposto alle intemperie.