Cassazione penale, acque reflue provenienti da struttura sanitaria

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 19391/2024, si è pronunciata sulla natura delle acque reflue provenienti da una struttura sanitaria.

Le acque reflue provenienti da una struttura sanitaria, nella specie una clinica specialistica, non possono essere incluse nella categoria delle “acque reflue domestiche”, tali essendo, secondo la definizione fornita dall’art. 74, comma 1, lett. g), d.lgs. n. 152 del 2006, le “acque reflue provenienti da insediamenti di tipo residenziale e da servizi e derivanti prevalentemente dal metabolismo umano e da attività domestiche”.

Difatti, la definizione di “acque reflue domestiche”, oltre al riferimento al metabolismo umano, si incentra sul tipo di attività di provenienza di tali scarichi, ossia le “attività domestiche”: locuzione che è chiaramente riferita alla convivenza e coabitazioni di persone, ma in un ambito strettamente e necessariamente solo familiare, come, del resto, corroborato dall’etimologia dell’aggettivo che descrive le attività – “domestiche”, appunto.

Allo stesso modo, le definizione di “acque reflue industriali” è incentrata sulla provenienza, dovendo dette acque essere “scaricate da edifici od impianti in cui si svolgono attività commerciali o di produzione di beni”, purché, ovviamente, siano diverse dalle “reflue domestiche e dalle acque meteoriche di dilavamento”.

Secondo la Corte, quindi, una clinica specialistica – la quale, nel caso di specie, si compone di 117 camere di pazienti – va considerata un edificio dove si svolgono attività commerciali o di produzione di beni, intendendo per tali i servizi erogati dalla clinica medesima, con conseguente qualificazione degli scarichi quali “acque reflue industriali”.


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