La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 18046/2024, si è pronunciata sulla fattispecie di abbandono di rifiuti e qualifica soggettiva dell’autore della condotta.
La Corte ha affermato il seguente principio di diritto: «ai fini della sussistenza del reato di cui all’art. 256, comma 2, d.lgs. n. 152 del 2006, è necessaria e sufficiente la qualifica soggettiva dell’autore della condotta, non essendo altresì richiesto che i rifiuti abbandonati derivino dalla specifica attività di impresa, posto che il reato in esame può essere commesso dai titolari di impresa o responsabili di enti che abbandonano o depositano in modo incontrollato non solo i rifiuti di propria produzione, ma anche quelli di diversa provenienza e ciò in quanto il collegamento tra le fattispecie previste dal primo e dal secondo comma dell’art. 256, comma 2, riguarda il solo trattamento sanzionatorio e non anche la parte precettiva».
Nel caso di specie, il Tribunale procedeva al sequestro preventivo del furgone di proprietà del ricorrente utilizzato per il trasporto di un carico di rifiuti (pericolosi e non) smaltiti mediante abbandono incontrollato.
Il ricorrente, con il ricorso, deduce l’insussistenza del fumus del reato lamentando che il Tribunale del riesame ha negletto la circostanza che egli è titolare di impresa esercente attività di carpenteria metallica, in legno e cemento, attività che nulla ha a che vedere con la tipologia e provenienza dei rifiuti abbandonati (resti di porte, pannelli in truciolato, lastre di vetro, tubi di plastica, un frigorifero). Oggetto della condotta, dunque, secondo la difesa, sono rifiuti domestici che il ricorrente ha abbandonato quale persona fisica, non quale persona esercente attività di impresa, non provenendo detti rifiuti dall’esercizio di tale attività.
Diversamente, secondo la Corte, la qualifica di “privato” che esclude l’applicazione della fattispecie sanzionata dall’art. 256, comma 2, d.lgs. n. 152 del 2006, postula che la condotta venga posta in essere al di fuori di qualsiasi attività imprenditoriale, che non vi sia cioè alcun collegamento, nemmeno occasionale, con l’attività svolta dal titolare dell’impresa (tal’è, per esempio, il caso dell’imprenditore che abbandoni sulla pubblica via i rifiuti ingombranti di casa sua, così rispondendo del reato di cui all’art. 255, comma 1).
Non può invece essere considerato “privato” l’imprenditore che si presti ad abbandonare rifiuti altrui, tanto più se, come nel caso di specie, si tratta di rifiuti perfettamente compatibili non solo con l’attività di cantiere nel quale era impegnata anche la società del ricorrente, ma anche con l’attività di quest’ultima.