Cassazione penale, end of waste caso per caso

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 27148/2023, si è pronunciata sulla possibilità di assegnazione “caso per caso” della cessazione della qualifica di rifiuto (“end of waste”).

In tema di rifiuti la possibilità di assegnare “caso per caso” a determinati materiali la qualifica di “end of waste”, indipendentemente dalla loro espressa inclusione in regolamenti eurounitari o in decreti ministeriali, sussiste solo per le autorizzazioni rilasciate ex art. 184-ter d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, a seguito dell’entrata in vigore della legge 2 novembre 2019, n. 128, che ha previsto che le autorizzazioni per lo svolgimento di operazioni di recupero siano rilasciate o rinnovate direttamente dalle amministrazioni competenti, nel rispetto delle condizioni di cui all’art. 6, par. 1, della direttiva 2008/98/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, sulla base di criteri dettagliati, definiti nell’ambito dei medesimi procedimenti autorizzatori, e previo parere obbligatorio e vincolante dell’ISPRA o dell’ARPA territorialmente competenti.

Per la Corte, appare del tutto evidente che fino al novembre del 2019 non fosse possibile attribuire ai materiali «de qua» la qualifica di EOW.

Difatti, argomenta la Corte, la Direttiva non entrava nel merito delle competenze istituzionali dei singoli Stati membri, mentre l’art. 184-ter TUA prevedeva che la disciplina come EOW per specifiche tipologie di rifiuto dovesse passare attraverso uno o più decreti del MATTM.

A tal riguardo, la possibilità che potesse essere autorizzato un processo di EOW «caso per caso», al di fuori dei casi espressamente contemplati, era stata fermamente smentita dalla giurisprudenza amministrativa (Consiglio di Stato con la sentenza n. 1229/2018, il quale ha affermato il potere di assegnare la qualifica di EOW a determinati materiali «caso per caso», non va riferito al singolo materiale da esaminare, bensì inteso come «tipologia» di materiale da esaminare e fare oggetto di più generale previsione regolamentare, a monte dell’esercizio della potestà autorizzatoria).

Il nuovo paragrafo 4 dell’articolo 6 della direttiva, tuttavia, nel testo modificato dalla direttiva 2018/851/UE, prevede che «laddove non siano stati stabiliti criteri a livello di Unione o a livello nazionale ai sensi, rispettivamente, del paragrafo 2 o del paragrafo 3, gli Stati membri possono decidere caso per caso o adottare misure appropriate al fine di verificare che determinati rifiuti abbiano cessato di essere tali in base alle condizioni di cui al paragrafo 1, rispecchiando, ove
necessario, i requisiti di cui al paragrafo 2, lettere da a) a e), e tenendo conto dei valori limite per le sostanze inquinanti e di tutti i possibili effetti negativi sull’ambiente e sulla salute umana.

La I. n. 128 del 02/11/2019 ha modificato radicalmente l’articolo 184-ter del TUA. La nuova disciplina, molto articolata, trova il punto focale nella previsione secondo cui, in mancanza di criteri specifici adottati con i regolamenti ministeriali, le autorizzazioni per lo svolgimento di operazioni di recupero siano rilasciate o rinnovate direttamente dalle amministrazioni competenti nel rispetto delle condizioni di cui all’articolo 6 della direttiva 2008/98/CE, sulla base di criteri dettagliati definiti provvedimento autorizzatorio e previo parere obbligatorio (introdotto dall’art. 34, comma 1, lettera a), del D.L. 31 maggio 2021, n. 77, convertito, con modificazioni, dalla I. 29 luglio 2021, n. 108) di ISPRA o ARPA competente (sulla base delle linee guida aggiornate, da ultimo, dal SNPA con Quaderno n. 41/2022).


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