Articolo del 19 luglio 2000 di Ivana Brancaleone
Le prime iniziative comunitarie nel campo della protezione ambientale risalgono agli anni Settanta,[1] quando la Commissione delle Comunità Europee riconosceva che la protezione dell’ambiente faceva parte dei compiti assegnati alle Comunità e rientrava esplicitamente o implicitamente nei loro obiettivi[2]. Da allora la tutela dell’ambiente in ambito comunitario ha assunto un ruolo sempre più rilevante e grandi progressi sono stati compiuti in questa direzione.[3]
In tempi più recenti, con il Trattato di Amsterdam[4] del 1999, l’ultima modifica ai Trattati comunitari, viene introdotto l’obbligo per l’Unione di integrare le esigenze connesse con la tutela dell’ambiente nella definizione e attuazione di tutte le politiche comunitarie. Inoltre, il Trattato prevede tra gli obiettivi essenziali dell’Unione lo “sviluppo sostenibile”,[5] che costituisce la nuova prospettiva delle politiche ambientali. Questo concetto chiave, comparso per la prima volta nell’ambito delle Nazioni Unite, viene utilizzato anche nel Quinto Programma d’Azione a favore dell’ambiente, previsto per il periodo 1992-2000 e intitolato “Per uno sviluppo durevole e sostenibile”,[6] che rappresenta una svolta, verso il perseguimento di una strategia comunitaria più efficace dal punto di vista della salvaguardia dell’ambiente.
Con tale programma vengono introdotti due principi innovativi complementari: la condivisione delle responsabilità per la protezione dell’ambiente e la diversificazione degli strumenti della politica ambientale. L’idea fondamentale è che l’obiettivo dello sviluppo sostenibile, non possa essere conseguito esclusivamente attraverso una politica normativa, ma per ottenere un reale cambiamento delle tendenze attuali e responsabilizzare tutti i settori della società, occorra un ampliamento della gamma di strumenti utilizzati.[7]
Per attuare il Quinto programma d’azione ambientale, una particolare attenzione è stata rivolta dalla Commissione agli accordi conclusi tra le autorità pubbliche e l’industria per l’attuazione della politica comunitaria dell’ambiente.
Gli “accordi volontari ambientali” sono tra gli strumenti che meglio rispondono ad una nuova esigenza scaturita dal Quinto programma: la necessità di superare la visione conflittuale del rapporto tra ambiente e sviluppo economico, e quindi anche un cambiamento nel modo di concepire l’industria, da causa del problema a protagonista della sua soluzione.[8] In questa direzione può essere utile affiancare alle tradizionali misure normative, gli accordi su base volontaria, nuovi strumenti che possono trasformare le imprese in soggetti attivi, capaci di cooperare responsabilmente con la pubblica amministrazione per la soluzione dei problemi ambientali. La realizzazione di un equilibrio tra attività umana e sviluppo, da una parte, e protezione dell’ambiente, dall’altra, richiede un rafforzamento del dialogo con un’azione concertata tra le parti interessate.[9]
Mentre in precedenza le misure ambientali adottate nel settore industriale erano di natura prescrittiva e si basavano sul principio “non si deve”, la nuova strategia fissata nel Quinto programma segue un approccio diverso: la cooperazione tra i diversi soggetti coinvolti.[10] Si passa, quindi, da un’impostazione essenzialmente fondata su disposizioni legislative e misure di controllo applicate dall’autorità pubblica (sistema del command and control)[11] ad una nuova forma di interazione tra tutti i soggetti coinvolti, promuovendo la responsabilità comune. Questo concetto presuppone una partecipazione più ampia e più attiva di tutti gli attori interessati, le amministrazioni pubbliche e le imprese private che possono essere coinvolte in un eventuale accordo, sia per la definizione degli obiettivi ambientali, sia per la ricerca di efficaci soluzioni.[12]
La comunicazione della Commissione al Consiglio e
al Parlamento europeo sugli accordi ambientali,[13]
si inserisce nella strategia già seguita nel Quinto programma d’azione e
confermata nella decisione relativa alla revisione del programma.[14]
La
comunicazione ha come obiettivo la promozione dell’uso degli accordi volontari
come strumento da utilizzare ad integrazione delle misure legislative,
regolamentari ed economiche. Per definire gli accordi, la Commissione, mostrando
attenzione verso gli aspetti che connotano questo strumento, ha utilizzato in
successione diversi termini: “accordo volontario”, “accordo negoziato” e
“accordo ambientale”.
Si può
ricorrere ad accordi con l’industria a vari livelli: regionale, nazionale,
comunitario; vengono infatti
identificati tre tipi principali di accordi ambientali:
1)
accordi a livello nazionale o locale;
2)
accordi che attuano alcune disposizioni delle direttive comunitarie;
3)
accordi a livello comunitario, tra l’industria e la Comunità Europea.[15]
Essi possono assumere la forma sia di impegni unilaterali,
proposti dall’industria e riconosciuti dalle autorità pubbliche, sia di veri e
propri contratti, perciò vincolanti per le parti aderenti.[16]
Proprio per intensificare il ricorso agli accordi, la comunicazione propone uno
schema di riferimento per una loro applicazione efficace e detta le linee guida
che consentirebbero di sfruttare adeguatamente le potenzialità degli accordi,
assicurandone efficacia, credibilità e trasparenza.[17]
Tra gli elementi più importanti per pervenire ad accordi credibili si segnalano:
la consultazione preliminare delle parti, la forma ufficiale, la fissazione di
obiettivi quantificati e suddivisi per fasi, la verifica dei risultati ottenuti
e la pubblicazione sia dell’accordo, sia dei risultati raggiunti.
Scopo
del documento è anche quello di definire le condizioni di applicazione degli
accordi ai fini dell’attuazione di alcune disposizioni delle direttive
comunitarie e a verificare le modalità di attuazione degli accordi ambientali a
livello comunitario.[18]
Secondo la Commissione i vantaggi derivanti dagli accordi possono essere molteplici:
il superamento dell’atteggiamento difensivo dell’industria, indotto soprattutto dall’approccio normativo;
una migliore comprensione dei problemi ambientali e delle reciproche responsabilità da parte di tutti i soggetti coinvolti;
maggiore libertà da parte dell’industria nell’individuare le tecnologie più
adatte a conseguire gli obiettivi ambientali rispetto a quanto avviene con
le normative;
Gli
accordi potenzialmente rappresentano una soluzione economicamente efficace per
il conseguimento di obiettivi ambientali, infatti possono stimolare
l’integrazione della tutela dell’ambiente nelle strategie e nei sistemi di
gestione delle imprese[19]
ed anticipare, integrare o dare attuazione alle misure normative.
La
risoluzione del Parlamento Europeo relativa al tema degli accordi ambientali,
adottata il 17 luglio 1997,[20]
afferma che mentre la legislazione continuerà a costituire la struttura portante
della politica ambientale comunitaria, questa potrà essere integrata dagli
accordi volontari. D’altra parte, però, si sottolinea come gli accordi possano
andare a buon fine solo se si verificano alcune condizioni: obiettivi legalmente
vincolanti, chiare indicazioni di durata, definizione delle parti, meccanismi
per il controllo delle attività di attuazione, pubblicizzazione (nelle fasi di
negoziazione, attuazione e valutazione dei risultati). Inoltre, è importante
dotare gli accordi di espliciti meccanismi di penalizzazione in caso di
inadempienza.
Tali
elementi dovrebbero costituire la struttura portante degli accordi volontari, ma
nella pratica risultano spesso disattesi o difficilmente attuabili.
Prendendo ad esempio il caso dell’Italia, gli accordi di settore che si sono
diffusi sono i più problematici, sia perché diventa più complessa
l’individuazione di obiettivi condivisi tra P.A. e soggetti economici, sia per
la successive difficoltà di suddivisione degli impegni a livello territoriale.
In
Italia dove l’ENEA (Ente Nazionale Energia e Ambiente) si è fatto promotore di
accordi volontari, tale esperienza ha consentito di evidenziare i punti deboli e
i punti forti nella realizzazione dei progetti di accordo e di individuare
alcune criticità legate soprattutto alla specificità dei singoli settori,
molteplicità di interessi coinvolti, partecipazione di numerosi soggetti di
diversa natura.
Da
questi progetti è emerso anche che l’uso degli accordi soprattutto a livello
settoriale non sempre è possibile. Le maggiori difficoltà si riscontrano nei
casi in cui la contrapposizione di interessi fra firmatari è eccessivamente
forte o non è possibile garantire l’adesione di una parte cospicua dei soggetti
portatori di interessi sul tema in questione, con il relativo rischio del
fenomeno dei “free riders”, cioè dei soggetti che non hanno partecipato
all’accordo.[21]
D’altra parte, a fronte dei rischi connessi,
l’attuale strategia a livello comunitario, stabilita nella Comunicazione della
Commissione sull’efficienza energetica,[22]
mira anche a rafforzare il ruolo degli accordi ambientali nel conseguimento di
obiettivi di efficienza energetica e di riduzione delle emissioni, obiettivi che
devono essere raggiunti alla luce degli impegni assunti nel quadro del
Protocollo di Kyoto.[23]
Nella
sua Risoluzione del 7 dicembre 1998[24]
relativa all’efficienza energetica il Consiglio ha sostenuto questa strategia e
le misure proposte.
In
questa direzione si colloca il Piano d’azione per migliorare l’efficienza
energetica nella Comunità Europea”,[25]
in esso vengono classificati in ordine di priorità gli interventi previsti e
suggerite alcune misure. Numerose azioni indicate rientrano nella categoria di
misure volontarie, coordinate a livello comunitario. In altri casi, ove
necessario, sono proposti atti legislativi.
Per
quanto riguarda i trasporti le attuali tendenze nel campo delle emissioni[26]
sono preoccupanti: invece di diminuire, negli ultimi anni le emissioni di gas ad
effetto serra sono andate aumentando.
L’Unione Europea ha adottato una strategia in materia di
CO2 nel settore dei trasporti per ridurre di un terzo le emissioni medie di CO2
dei veicoli nuovi entro il 2005/2010 prendendo il 1995 come anno di riferimento.
A tal proposito, sono stati negoziati a livello comunitario accordi volontari
con le associazioni dei produttori di autoveicoli.[27]
Accordi siffatti possono contribuire in maniera significativa a migliorare
lefficienza energetica delle nuove autovetture, e quindi aiutare l’UE a
rispettare gli impegni di Kyoto. Promuovere azioni nel quadro di accordi
ambientali nel settore dei trasporti, utilizzando il potenziale di riduzione
delle emissioni di CO2 dei veicoli a motore, viene visto con favore dalla
Commissione[28]
in quanto l’influenza sui cambiamenti climatici dovuta alle emissioni di questo
settore è crescente.
Nel
settore energetico pur riconoscendo i progressi realizzati negli ultimi anni
dall’industria in materia di risparmio energetico, si riconosce la necessità di
un’azione più risoluta, comprendente anche il ricorso agli accordi ambientali.
Gli
accordi risultano particolarmente interessanti sul piano dell’efficienza
energetica, anche se, nel valutare l’opportunità di ricorrere a tale strumento
bisogna ovviamente tener conto del loro contributo al raggiungimento
dell’obiettivo globale della Comunità.
Tra le
misure auspicate, a breve e medio termine, dal Piano d’azione[29]
in materia di requisiti minimi di efficienza si propone un maggiore ricorso agli
accordi con i produttori di elettrodomestici e ad accordi a lungo termine. Per
quanto riguarda il primo tipo di accordi, numerosi apparecchi domestici saranno
oggetto di accordi negoziati sotto forma di impegni volontari tra e da parte dei
produttori: condizionatori, asciugacapelli, motori elettrici, pompe, ventilatori
e attrezzature commerciali di refrigerazione. Sarà presentata inoltre una
direttiva quadro per rendere più efficaci gli accordi negoziati ed agevolare, se
necessario, l’adozione di norme
minime obbligatorie di efficienza sulla base di criteri economici prestabiliti.
Gli
accordi negoziati sono considerati una valida alternativa all’introduzione di
normative se essi comprendono impegni assunti da un numero elevato di
fabbricanti in un dato settore (almeno 80%), prevedono impegni quantificati di
miglioramenti dei loro prodotti e anche un regime efficace di controllo e
autoregolazione nonché procedure per l’inosservanza.
Secondo la Commissione in futuro si dovrà ricorrere maggiormente agli accordi
negoziati con obiettivi che corrispondano o vadano oltre gli obiettivi di
intensità energetica stabiliti dalle normative. Se gli accordi non dovessero
produrre i risultati previsti dovranno essere applicate norme obbligatorie.[30]
Gli
accordi a lungo termine (long-term agreements - LTA) con comparti industriali,
sono un tipo specifico di accordo ambientale, caratterizzato dal fatto che
l’associazione industriale in questione e i suoi membri si impegnano a
raggiungere un obiettivo quantificato di efficienza energetica nei loro processi
di fabbricazione utilizzando motori più efficienti (compressori, pompe,
ventilatori). Tali accordi saranno rafforzati e il loro impiego sarà ampliato
per includere le industrie chimica, siderurgica, della carta, del cemento e
tessile, nonché l’industria della fornitura di energia.
La Commissione elaborerà una comunicazione
sull’armonizzazione e il coordinamento degli accordi a lungo termine a livello
di Comunità e di Stati Membri con l’obiettivo di facilitare i negoziati a
livello UE e consentire un quadro operativo omogeneo per le industrie europee.[31]
Per
sostenere l’efficienza energetica nella Comunit è stato rinnovato il programma
pluriennale SAVE per il periodo 1998-2002[32]
che prevede azioni al fine di incoraggiare l’utilizzo razionale ed efficiente
delle risorse energetiche.
A tale
scopo, nell’ambito del programma sono finanziate azioni e misure che includono
anche accordi volontari, compresi gli obiettivi associati e il loro
monitoraggio, adottati per migliorare l’efficienza energetica.
Il
rendimento energetico è uno dei capisaldi delle politiche energetiche e
ambientali in quanto è uno dei principali strumenti di riduzione delle emissioni
di CO2. Inoltre, il rendimento energetico è strettamente legato alle politiche
industriali e di tutela dei consumatori, poiché permette forti risparmi agli
utilizzatori dell’energia ed ha impatti positivi sui produttori.
Oltre
ad un forte impatto positivo sull’ambiente, la migliore efficienza energetica
comporterà una politica energetica più sostenibile e sarà uno dei fattori chiave
che consentirà all’UE di raggiungere in maniera più economica l’obiettivo
attribuitole dal Protocollo di Kyoto.
In
Italia, negli ultimi tempi, il contesto istituzionale di riferimento sembra
favorevole all’attuazione di obiettivi ambientali e di efficienza energetica
attraverso gli accordi volontari. Gli accordi sono infatti considerati come
strumento ufficiale di attuazione non solo in alcuni specifici ambiti
legislativi (come nel caso del Decreto Ronchi) ma anche a livello programmatico,
nel quadro delle strategie di base per lo sviluppo della futura regolamentazione
ambientale ed energetica.
Per
quanto riguarda questo secondo aspetto, la delibera CIPE[33]
relativa al recepimento degli obiettivi di Kyoto esprime con forza la scelta
pubblica di dare priorità agli accordi volontari (per la prima volta in un
dispositivo nazionale è utilizzato espressamente questo termine) tra gli
operatori e le Amministrazioni per il raggiungimento degli obiettivi indicati
dalle Linee Guida[34]
presentate nel documento stesso. Se entro un anno dalla approvazione della
delibera, non siano stati stipulati tali accordi o questi non soddisfino gli
obiettivi stabiliti o in caso di mancato rispetto degli accordi stessi, i
Ministeri competenti adotteranno provvedimenti sui relativi settori di
competenza (art. 5).
In
questa direzione, nell’ambito della seconda Conferenza nazionale sull’energia e
l’ambiente (CNEA),[35]
è stato firmato il “Patto per l’Energia e l’Ambiente,”[36]
un documento promosso dal Governo – in particolare da Ministero dell’ambiente,
Ministero dell’industria e Ministero dell’Università e della Ricerca Scientifica
(MURST) – e sottoscritto dalle istituzioni regionali e locali, dalle forze
economiche e sociali, dall’associazionismo ambientalista e dai consumatori.
Si
tratta di un patto volontario tra Governo, forze produttive e parti sociali, a
somiglianza del patto sull'occupazione, che riconosce l'importanza per tutti i
cittadini della disponibilità di energia per lo sviluppo, nel massimo rispetto
dei valori ambientali, ed è ispirato al principio della sostenibilità che
impegna ciascuna parte al raggiungimento di specifici obiettivi.
L’intesa è espressione della volontà politica dei sottoscrittori di adottare un
sistema di accordi volontari (accordi di settore e accordi territoriali) come
procedura privilegiata inerente il rapporto energia/ambiente.
La natura del Patto è quella di accordo quadro di tipo
politico-istituzionale. Il suo meccanismo di funzionamento prevede l’attuazione
degli obiettivi in materia di politica energetica e di riduzione delle emissioni
di CO2 coerentemente con gli impegni sottoscritti nel protocollo di Kyoto per il
2008/12 e definiti nel documento operativo del CIPE.[37]
Ai
fini del raggiungimento di tali obiettivi le parti firmatarie si impegnano a
promuovere uno o più accordi, al livello settoriale o territoriale più adatto.
Dunque, gli accordi volontari sono articolati in diversi livelli cui vanno assegnati distinti compiti:
gli accordi settoriali, sottoscritti dalle rappresentanze dei soggetti interessati a livello nazionale, integrati e specificati a livello regionale e territoriale, in cui sono definiti indirizzi, obiettivi e programmi di azioni di specifici comparti economici e produttivi;
gli accordi territoriali, sottoscritti dalle rappresentanze
interessate a livello regionale e locale, in cui sono definiti i programmi
energetici integrati che, a loro volta, possono essere diversamente
caratterizzati a secondo che si tratti di: singole imprese di medio, grandi
e piccole dimensioni; distretti specializzati di piccole-medie imprese,
distretti di filiera.[38]
Lo
sviluppo di accordi settoriali o territoriali può rappresentare una fase
importante per lo svolgimento successivo di negoziazioni a livello più ampio (in
termini territoriali, di temi, di soggetti coinvolti), in modo tale da aumentare
al massimo la flessibilità d’uso dello strumento, soprattutto dal punto di vista
della sua capacità di adattamento rispetto alla variabilità dei problemi da
affrontare e dal loro livello territoriale ottimale di riferimento.
Al
punto 5) del Patto si afferma che “gli accordi vanno considerati, in via
privilegiata, come gli strumenti attuativi che consentono, anche tramite una
maggiore informazione tra gli operatori e gli utenti, a partire dagli associati
alle singole rappresentanze, la diffusione di comportamenti utili alla riduzione
delle emissioni. In tal senso essi rappresentano elementi di garanzia per la
realizzazione degli interventi e ne va favorita l’assunzione per le future
iniziative quanto per quelle in corso”.
In
termini generali il Patto vuole comunque essere un segnale dell’effettiva scelta
pubblica di agire in una determinata direzione, inscrivendo le attività
negoziali e volontarie entro un sistema di maggiore riconoscibilità,
legittimazione e accettabilità sociale, concorrendo inoltre a mobilitare in
questo senso maggiori risorse.
A tale
proposito viene previsto l’accesso prioritario da parte dei firmatari degli
accordi volontari, attuativi dei contenuti e modalità del “Patto per lEnergia e
l’Ambiente”, ai fondi nazionali e regionali per le energie rinnovabili e la
protezione del clima e al sistema di incentivi e di risorse finanziarie
pubbliche in modo commisurato al rispetto degli impegni assunti in comune ed
individualmente.
All’interno del Patto è prevista anche la possibilità di adesione unilaterale di
terzi non firmatari i cui programmi siano coerenti con gli indirizzi e obiettivi
stabiliti.
L’autorità garante dell’attuazione del Patto è il CNEL con funzioni di
monitoraggio e accompagnamento per quanto attiene la sua traduzione in accordi
settoriali e territoriali. A tale fine è stato costituito un comitato nazionale
e multisettoriale denominato “Comitato del Patto per l’energia e l’ambiente”. Il
CNEL presenterà ogni anno al governo ed al Parlamento una relazione sullo stato
di attuazione del patto.
L’anno
2003 costituisce la data entro la quale le parti procederanno ad una verifica
del Patto e degli accordi volontari settoriali e territoriali al fine di
verificare l’efficacia dell’azione e l’opportunità di un suo aggiornamento alla
luce di eventuali modificazioni delle strategie e delle relazioni
internazionali.
Sicuramente le incertezze attuali del contesto nazionale non aiutano il processo
di avanzamento degli accordi. In questo caso la presenza e il ruolo delle
amministrazioni diventa particolarmente importante.
Quella
degli accordi è indubbiamente una strada difficile da percorrere: l’interazione
stabile tra pubblico e privato e la negoziazione degli obiettivi sottintende,
infatti, l’esistenza di adeguati meccanismi di mediazione degli interessi, in un
confronto diretto tra tutti i soggetti coinvolti. Risulta quindi necessario
avviare una seria attività di cooperazione e coordinamento degli interventi
affinché gli accordi possano realmente essere stipulati.
La
diffusione degli strumenti volontari, richiede anche un rinnovamento
dell’organizzazione amministrativa ed istituzionale che associ alla maggiore
flessibilità degli strumenti, nuovi modelli organizzativi e una maggiore
flessibilità nei modi di interazione tra pubblico e privato, ancora molto
condizionati da un’eccessiva burocrazia nell’amministrazione.
La
scelta pubblica di utilizzare lo strumento degli accordi su vasta scala
presuppone anche la predisposizione di adeguati meccanismi per la loro
promozione e diffusione.
In
particolare si tratta di attivare risorse (economiche, informative,
organizzative) e strumenti di semplificazione amministrativa.
Con
riferimento in particolare al problema del reperimento e della destinazione di
risorse finanziarie da parte dei soggetti pubblici per la promozione e la
realizzazione degli accordi, risulta essenziale condizionare l’accesso agli
eventuali fondi con una serie di vincoli e regole a garanzia dell’effettivo
raggiungimento dei risultati previsti nei tempi e nei modi indicati negli
accordi stessi.[39]
Si
tratta in ogni caso di un’occasione importante per aprire nuove possibilità
d’azione al di fuori di quelle definite attraverso la normativa (che comunque
rimane il punto di riferimento), aprendo un nuovo capitolo nel modo di fare
politica energetica e ambientale.
[1] Commissione C.E., Prima comunicazione della politica ambientale [SEC (71) 2616 def..] del 22-1-1971.
[2] G. Cordini, Ambiente (tutela dell’) nel diritto delle Comunità Europee, in Digesto/Pubbl., UTET Torino, 1991, appendice vol.VII, pagg. 665-670.
[3] Per la realizzazione degli obiettivi indicati nei cinque programmi d’azione ambientale, che si sono succeduti dagli anni Settanta, la Comunità ha adottato più di 200 provvedimenti legislativi che concernono i diversi aspetti della politica ecologica: acque, atmosfera, rumore, rifiuti, ambiente naturale, sostanze pericolose, fonti energetiche.
[4] Entrato in vigore il 1° maggio 1999, il Trattato di Amsterdam si presenta come una revisione del Trattato di Maastricht, sottoscritto nel 1992, che, modificando i trattati originari degli anni 50 istitutivi delle Comunità europee, vede la nascita dell’Unione Europea.
[5] Il concetto di “sviluppo sostenibile” viene utilizzato per riferirsi ad una politica e ad una strategia che nel perseguire lo sviluppo economico e sociale non rechi danno all’ambiente e alle risorse naturali, preservandoli per le generazioni future.
[6] COM(92)23 def. vol. II, del 3-4-1992.
[7] B. Delogu, Gli accordi volontari e la politica di tutela dell’ambiente dell’Unione europea, in Economia delle fonti di energia e dell’ambiente n. 2/1996, pagg. 215-228.
[8] L. Scialpi, Gli accordi volontari in Italia, in Economia delle fonti di energia e dell’ambiente, n. 2/1996, pagg. 235-239.
[9]P. Amadei, E. Croci, G. Pesaro, Nuovi strumenti di politica ambientale: gli accordi volontari, Franco Angeli, Milano, 1998.
[10] COM(92)23, cit., punto 19.
[11] I tradizionali sistemi regolamentativi di “command and control” sono articolati in regolamenti, standard, autorizzazioni, controlli e sanzioni e caratterizzati da un’impostazione sanzionatoria (comando, controllo, sanzione), dalla definizione di standard massimi di emissione per i principali inquinanti e dalla predisposizione di un sistema di controllo nei punti di scarico.
[13] COM (96) 561 del 27-11-1996.
[14] Decisione n. 2179/98/CE del Parlamento europeo e del Consiglio relativa al riesame del programma comunitario di politica ed azione a favore dell’ambiente e di uno sviluppo sostenibile “Per uno sviluppo durevole e sostenibile”, GUCE L n. 275 del 10-10-1998, pag. 1.
[15] M. Caboara, Accordi ambientali: un nuovo strumento in nome della flessibilità, in Ambiente n. 7/1997, pagg. 598-600.
[16] R. Bianchi, Accordi ambientali: nuovi contratti con valore di legge?, in Ambiente n. 8/1997, pagg. 680-683.
[17] S. Poli, Gli accordi volontari nel diritto comunitario: un nuovo strumento per la tutela dell’ambiente, in Rivista giuridica dell’ambiente, nn. 3-4, 1998, pagg. 391-426.
[18] COM(96)561, cit., pag. 6.
[19]
B. Delogu, op. cit., pag. 216.
[20] GUCE C n. 286 del 22-9-1997.
[21] G. Pesaro, Accordi volontari per i nuovi obiettivi di politica energetica e ambientale, in Economia delle fonti di energia e dell’ambiente, n. 3/1998, pagg. 195-216.
[22] COM(1998)246 def. del 24-4-1998, “L’efficienza energetica nella Comunità Europea - Verso una strategia per l’uso razionale dell’energia”, pag. 1.
[23] Il Protocollo, adottato il 10 dicembre 1997 a Kyoto dalla terza conferenza delle parti alla Convenzione sui cambiamenti climatici, impegna gli Stati Membri dell’Unione Europea a ridurre, entro il periodo compreso tra il 2008 e il 2012, le emissioni dei gas serra nella misura dell’8% rispetto al livelli del 1990. L’Italia deve ridurre le proprie emissioni di gas serra nella misura del 6,5% rispetto ai livelli del 1990 relativamente allo stesso periodo.
[24] GUCE C n. 394 del 17-12-1998, pag. 1.
[25] COM(2000)247 def., del 26-4-2000, pag. 1.
[26] Se non verranno prese misure più incisive delle attuali e se persisterà un atteggiamento passivo c’è il rischio entro il 2010 di entrare in uno scenario dove le emissioni complessive aumenteranno del 6-8% anziché scendere dell’8% rispetto ai livelli del 1990.
[27] Raccomandazione della Commissione 1999/125/CE del 5-2-1999 sulla riduzione delle emissioni di CO2 prodotte dalle autovetture [notificata con il numero C(1999)107] in GUCE L n. 40 del 13-2-1999, pag. 49.
[28] COM(2000)88 def., dell’8-3-2000, “Sulle politiche e misure dell’Unione Europea per ridurre le emissioni di gas a effetto serra: Verso un programma europeo per il cambiamento climatico (EPPC), pag. 1.
[29] COM(2000)247, cit.
[30] COM(1998)246, cit., pag. 12.
[31] COM(2000)247, cit.
[32] Decisione n. 647/2000/CE del Parlamento e del Consiglio del 28-2-2000 che adotta un programma pluriennale per la promozione dell’efficienza energetica (SAVE) per il periodo 1998-2002, in GUCE L n. 79 del 30-3-2000, pag. 6.
[33] Deliberazione n. 137/98 del 19-12-1998 (Linee guida per le politiche e misure nazionali di riduzione delle emissioni dei gas serra) in GU del 10-2-1999.
[34] Le azioni nazionali per la riduzione delle emissioni dei gas serra riguarderanno i seguenti obiettivi: aumento di efficienza nel settore elettrico, riduzione dei consumi energetici nel settore dei trasporti, raddoppio della produzione di energia da fonti rinnovabili, riduzione dei consumi energetici nei settori industriale/civile/terziario, riduzione delle emissioni di CO2 dei settori non energetici, assorbimento delle emissioni di CO2 dalle foreste.
[35]
La Conferenza si è tenuta a Roma il 25-28 novembre
1998 ed è stata organizzata dall’ENEA per conto dei Ministeri
dell’industria, dell’ambiente e della ricerca scientifica.
[36] Il testo del Patto può essere consultato nel sito dell’ENEA: www.enea.it
[37] Vedi nota 31.
[38] Punto 5.2) del “Patto energia e ambiente”.
[39] G. Pesaro, op. cit., pagg. 211 e ss.